Giornalismo, IA e realtà alterate
Servizio comunicazione istituzionale
Colin Porlezza, professore assistente senior di giornalismo digitale presso l'Istituto di Media e Giornalismo (IMeG) dell'Università della Svizzera italiana (USI), si è espresso sulle pagine del Corriere del Ticino chinandosi sul tema dell'intelligenza artificiale (IA) e il suo ruolo nell'ambito del giornalismo contemporaneo. Di seguito vi proponiamo il testo integrale del suo intervento.
L’estate del 2023 è stata la più calda mai registrata. A giugno dello stesso anno, il clima all’interno di alcune redazioni diventa ancora più teso dopo che Axel Springer, il più grande editore d’Europa, annuncia che alcuni compiti del tabloid "Bild" sarebbero stati svolti dall’intelligenza artificiale (IA). Secondo una mail interna pubblicata dalla concorrenza, il quotidiano avrebbe in gran parte automatizzato il processo del layout, modificando alcune funzioni dei redattori di pagine e dei photo editor. Anche l’estate del 2024 si preannuncia movimentata: a inizio luglio, in Romandia, alcuni giornalisti affermano di essere stati licenziati perché la casa editrice ha deciso di optare per una traduzione automatizzata di testi dal tedesco al francese. Testi originali in francese, scritti da giornalisti umani, non sembrano più necessari.
L’IA comporta delle trasformazioni significative nelle redazioni giornalistiche, non solo ridefinendo ruoli giornalistici, ma influenzando anche attività professionali centrali come la scrittura, la ricerca e la verifica dei fatti. In particolare, l’IA generativa - ovvero quei sistemi capaci di creare video, immagini o audio sintetici che sembrano reali - pone le redazioni e i giornalisti di fronte a sfide sempre più difficili. La facilità con cui questi "deepfake" possono essere generati - come, ad esempio, l’immagine del presunto arresto di Trump o quella di papa Francesco con un piumino bianco - richiede non solo una consapevolezza del fenomeno, ma anche la capacità di utilizzare strumenti adeguati a identificare, verificare e smascherare i contenuti falsi e ingannevoli creati dagli algoritmi.
La capacità del giornalismo di individuare contenuti sintetici e di contrastare la disinformazione è cruciale per la democrazia e per mantenere la credibilità dei media nel loro ruolo di monitoraggio critico, soprattutto in ambito politico. Verificare i fatti, evidenziare dati falsi e limitare la diffusione di informazioni errate è essenziale in una società caratterizzata dal sovraccarico di informazioni, dalla crescente polarizzazione e dalla comunicazione populista. Tuttavia, queste operazioni richiedono competenze specifiche e risorse sia economiche che umane che molte aziende mediatiche faticano a ottenere a causa delle attuali difficoltà economiche.
Un recente studio pubblicato da TASwiss, intitolato "Deepfake e realtà manipolate", rivela però che nelle redazioni svizzere i deepfake non sono ancora percepiti come un problema urgente. La causa: a differenza dei colleghi statunitensi, i giornalisti svizzeri non sono ancora stati vittime di deepfake, e la maggior parte dei video sintetici circolano nella copertura di eventi internazionali, come la guerra in Ucraina o a Gaza. Inoltre, molti intervistati ritengono che la Svizzera non sia ancora nel mirino dei produttori di deepfake.
Anche se il problema dei deepfake non viene ancora percepito come grave nelle redazioni, questi contenuti hanno già fatto irruzione nel dibattito politico svizzero. Lo scorso anno, a pochi giorni dalle elezioni federali, un parlamentare UDC, Andreas Glarner, ha prodotto un video deepfake con protagonista la Verde Sibel Arslan. L’episodio ha portato non solo a un processo legale in cui un tribunale di Basilea ha ordinato la rimozione del video, ma anche a una dichiarazione congiunta di tutti i principali partiti, ad eccezione dell’UDC, contro l’uso di tali strumenti.
Diventa quindi cruciale sviluppare una consapevolezza critica riguardo la possibilità di manipolazioni e la produzione di realtà alterate prodotte dall’IA anche in Svizzera, soprattutto in una democrazia diretta in cui le informazioni accurate e verificate sono essenziali per il processo decisionale politico. I giornalisti intervistati ammettono che la problematica dei deepfake non si limita alla verifica dei contenuti, ma che il fenomeno dovrebbe essere accompagnato da una maggior educazione del pubblico.
Quindi, oltre alla responsabilità individuale, delle scuole e delle piattaforme, i media possono dare un contributo essenziale alla sensibilizzazione sul fenomeno attraverso un’informazione critica che spieghi sia i rischi sia le potenzialità della tecnologia.
* In allegato è possibile scaricare il PDF con l'intervento del Professor Porlezza sulle pagine del Corriere del Ticino